Sentenza d’appello Foodora, ma quale Jobs Act!

Sentenza d’appello Foodora, ma quale Jobs Act!

Sulla Sentenza Foodora il Jobs Act non c’entra nulla. La Corte d’Appello di Torino, ribaltando parzialmente la pronunzia di primo grado, ha accertato la natura subordinata dell’attività lavorativa di cinque rider che avevano agito per vedersi riconoscere i diritti previsti dal contratto di lavoro dipendente e la reintegrazione nel posto di lavoro.

Ora, al di là del merito della sentenza, che è importantissimo, in molti scrivono che questo riconoscimento è avvenuto grazie al Jobs Act.

In attesa di leggere le motivazioni, la circostanza appare abbastanza improbabile.

L’art. 2 del D. Lgs. 81/2015 applica la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in rapporti di lavoro esclusivamente personali, continuativi, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro, ed è stato invocato in via subordinata dai ricorrenti.

Ma il Tribunale in primo grado, dopo aver elencato i criteri della subordinazione che devono essere rinvenuti nel rapporto (potere organizzativo e direttivo, orario, potere disciplinare etc.) e aver sostenuto, a differenza evidentemente della Corte d’Appello, la loro insussistenza, ha specificato, questa volta correttamente, come tale norma non abbia un contenuto tale da produrre nuovi effetti giuridici nella disciplina dei contratti di lavoro. In pratica il citato art. 2 è una norma inutile, con un contenuto più restrittivo dell’art. 2094 C.C., perché i “tempi e luoghi” presuppongono sempre il potere direttivo e organizzativo del datore che è condizione già sufficiente per determinare la subordinazione.

Quindi pare di poter dire che il Jobs Act sia stato assolutamente irrilevante nella parte di decisione favorevole ai rider, che necessariamente deve aver valutato i criteri della subordinazione previsti dai principi generali e dalla giurisprudenza.

Di contro il Jobs Act è stato decisivo nell’impedire la reintegrazione nel posto di lavoro dei rider, poiché, come è noto, venute meno praticamente tutte le tutele, l’unica possibilità residuale di reintegrazione rimasta è quella dell’accertamento del licenziamento discriminatorio, i cui presupposti non sono stati ritenuti sussistenti, anche perché di fatto è quasi impossibile darne prova.

I rider quindi possono ringraziare i magistrati, i loro avvocati, chi li ha sostenuti ma certamente non il Jobs Act.
Anzi.

[a cura di Giampaolo Coriani]

Davide Serafin

Di Alessandria. Ha scritto gli ebook '80 euro di Ingiustizia Sociale' – 2016, V come 'Voucher – La nuova frontiera del precariato' – 2016 e 'Il Volo dei Gufi' - 2018, raccolta degli articoli scritti per i Quaderni di Possibile negli anni (2015-2018) - www.ilvolodeigufi.com - www,giustapaga.it - twitter: @yes_political
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