Caporalato Digitale

Caporalato Digitale

È buona norma commentare le sentenze solo dopo aver letto la loro motivazione. Ma quella pronunziata ieri dal Tribunale di Torino sul ricorso presentato dai riders contro Foodora lascia molto amaro in bocca e impone qualche considerazione, nell’attesa. A monte di tutto colpisce come un pugno nello stomaco il commento di uno dei ricorrenti, intervistato dal Corriere, edizione di Torino, che definisce quello di Foodora “caporalato digitale”.
È vero, anch’io ho pensato la stessa identica cosa.
Che differenza c’è fra un caporale che alla mattina raccoglie gli extracomunitari che vogliono lavorare ma non sono obbligati (come da difese Foodora), e li porta nei campi di pomodoro pagandoli pochi euro l’ora, e una app che fa la stessa cosa senza usare il camioncino?
Apparentemente, dal punto di vista pratico, nessuna, se non che il “caporale” è stigmatizzato socialmente mentre la app rappresenta la modernità e il progresso, per quanto dietro la app ci siano ugualmente persone fisiche.
Poi la stigmatizzazione scompare quasi completamente se grazie al “caporale” il prezzo dei pelati rimane basso, così come se la consegna a domicilio è conveniente grazie alla app.
Eppure dal punto di vista giuridico c’è una differenza enorme.
Il “caporale” individua persone (ricordiamocelo, che sono persone) che potrebbero essere diverse ogni mattina, mentre la app si connette con uno smartphone, quindi con un rapporto diretto, mediato dalla tecnologia ma diretto, a un certo numero di persone ben precise, potendo, pare, addirittura “leggere” i dati personali dell’utente.
Il lavorante a giornata entra in contatto solo con i pomodori, purtroppo, mentre il rider riceve un pasto da un ristorante e lo porta a un cliente, pedalando nel traffico cittadino.
Si inserisce quindi in una compravendita di beni, provvedendo al trasporto, e viene incaricato e pagato da un soggetto terzo.
La modernità, e quindi l’incapacità del sistema giuridico di reagire e tutelare il lavoratore, o forse la predisposizione a tutelare le nuove forme di impresa, il nuovo che avanza, sta proprio nel fatto che il trasporto è reso da un soggetto terzo il quale lo “subappalta”, nella qualificazione data presumibilmente dal Tribunale, a un lavoratore autonomo che, si immagina, viene a sua volta configurato come il famoso imprenditore di sé stesso, la nota descrizione da social network.
E poco conta che per quelle tre ore di disponibilità ci sia l’evidente sussistenza del rapporto di subordinazione, dato dagli indici rappresentati dal vincolo di orario e dal potere direttivo/organizzativo datoriale, vedremo in motivazione perché non sia stato ritenuto sussistente.
L’imprenditore di sé stesso deve “possedere” questi requisiti per candidarsi a “lavorare” con Foodora:
iPhone4s o superiore, Android (4.2 o superiore) con piano dati, una bici o uno scooter, senso di responsabilità, essere maggiorenne, disponibilità a lavorare anche nei weekend (preferibile), permesso di lavoro in Italia (se cittadini non UE).
Quindi i mezzi di produzione dell’impresa individuale sono bici o scooter e smartphone.
Ma si parla esplicitamente di lavorare, non di collaborare in autonomia, non di gestire in subappalto contratti di trasporto.
Eppure la “retribuzione” (5 euro l’ora all’epoca dei fatti oggetto di causa, oggi anche meno in quanto rapportata alle consegne effettive) è addirittura inferiore al voucher (che all’epoca prevedeva 7,50 euro al prestatore occasionale e 2,50 all’INPS in gestione separata, oggi 9 al lavoratore e 3 all’INPS), senza dimenticare i limiti dimensionali dell’impresa che molto probabilmente non ne consentirebbe l’uso.
Cioè a dire, stiamo parlando di un’attività continuativa, per più ore giornaliere, compresi i weekend, con un rischio legato alla circolazione stradale (che normalmente prevede la copertura INAIL per qualsiasi dipendente che subisca un infortunio in itinere) con una “retribuzione” che è la metà della forma minima attuale di lavoro occasionale, forma peraltro di dubbia legittimità e notoriamente soggetta a facili strumentalizzazioni per occultare rapporti di lavoro subordinato occulti, che è il voucher.
Quindi, si, siamo molto curiosi di conoscere la motivazione della sentenza, siamo come Possibile a disposizione per qualsiasi collaborazione di carattere giuridico o legale, ma soprattutto siamo a disposizione per provare a modificare la normativa e tutelare questi lavoratori, che in questo momento sono tecnicamente più o meno i penultimi della scala sociale, appena prima dei lavoranti sotto caporalato, perché a questo dovrebbero servire i partiti, soprattutto quelli che si definiscono di sinistra.

[a cura di Giampaolo Coriani]

Davide Serafin

Di Alessandria. Ha scritto gli ebook '80 euro di Ingiustizia Sociale' – 2016, V come 'Voucher – La nuova frontiera del precariato' – 2016 e 'Il Volo dei Gufi' - 2018, raccolta degli articoli scritti per i Quaderni di Possibile negli anni (2015-2018) - www.ilvolodeigufi.com - www,giustapaga.it - twitter: @yes_political

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