Processo Foodora, i fattorini restano senza tutele

Processo Foodora, i fattorini restano senza tutele

Il giudice del Tribunale del Lavoro di Torino si è pronunciato pochi minuti fa ed ha respinto la causa contro Foodora. I riders restano pertanto senza tutele.

Non ruota solo intorno all’algoritmo, al suo funzionamento e all’intrinseca diramazione del potere direttivo, l’accusa portata da alcuni riders ex fattorini al processo contro Foodora, la  società di consegna cibo a domicilio di Delivery Hero, colosso tedesco del settore e spietato protagonista della gig economy. Nella sua ricostruzione, l’avvocatessa Giulia Druetta si è più volte soffermata sulle pressioni esercitate, per via dell’organizzazione verticale gerarchica, dall’alto delle funzioni di controllo verso il basso delle funzioni operative. Un sistema che impiega una multi-piattaforma: non solo l’applicazione di ricevimento degli ordini, ma anche quella dedicata alla definizione dei turni (shyftplan) e l’immancabile chat di coordinamento, all’interno della quale i soggetti deputati alle mansioni organizzative e di coordinamento si esprimono anche in termini poco etici nei confronti dei colleghi fattorini i quali, stando alla retorica della gig economy, offrirebbero il proprio lavoro per “far risparmiare tempo e regalare sorrisi”.

I giovani ricorrenti hanno lamentato l’impossibilità di rinunciare a un turno una volta  accettato e a quella di interromperlo in caso di sopravvenuta malattia.
Un punto cardine per il ricorso e per l’intera questione è quello della subordinazione: i riders non sono lavoratori autonomi e Foodora non è solo una applicazione che “mette in contatto” ristoratori e clienti. I fattorini non hanno alcun contatto né con gli uni né con gli altri, non sono nelle condizioni di poter decidere in autonomia modo e tempo di  esplicare la prestazione lavorativa. Quello che mettono a disposizione è qualcosa che possono avere tutti, una bicicletta, uno smartphone. Indossano addirittura una divisa aziendale, sono soggetti alla valutazione tramite punteggio (rating), al controllo degli orari di accensione dell’app (che vengono messi in relazione ai turni pattuiti all’interno di  shyftplan).
È proprio intorno al meccanismo di valutazione interno che viene svelato  uno dei particolari più speciosi, che ha fatto passare occhiate incredule per tutta l’aula: a uno dei rider è stata rivelata la sua posizione in classifica, eccezionalmente nella colonna di destra, quella dedicata alle donne, perché “sei lento, sei più lento delle femminucce”.

Ecco che emerge questo retroterra culturale sessista, dietro questo modo di valutare e classificare i lavoratori. L’accusa ha quindi ricordato che la novella introdotta dal Jobs Act (Decreto Legislativo n. 81/2015) all’articolo 2, laddove il legislatore ha voluto applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione “che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi  e al luogo di lavoro”.
Nel caso di specie, secondo Druetta, ricorrono sia la continuità della prestazione, sia l’eterorganizzazione.
Questo tipo di lavoro ci va bene così?, chiede l’avvocato Bonetti. “Si può fare in maniera diversa: attivando il lavoro a chiamata intermittente. Lo schema è calzante, cambiano le tutele. Cosa impediva a Foodora di regolare così il rapporto con i riders?”.
La difesa, guidata dagli avvocati Ornella Girgenti e Giovanni Realmonte, si è invece concentrata a negare la subordinazione, come già accaduto in altri casi, come nel Regno Unito, ove davanti al CAC (Central Arbitration Committee),  Deliveroo ha ottenuto un parere favorevole dimostrando la non obbligatorietà ad accettare commesse da parte dei riders. Anche secondo Foodora non sussiste l’obbligo di accettare le consegne. “Non c’è scritto da nessuna parte che i riders debbano dare una disponibilità minima, come ha detto la controparte”, dicono in aula. E per dimostarlo portano le undicimila pagine di trascrizione dei messaggi della chat.
Vengono citati una serie di casi  di ‘swap’ del turno in cui non vi è obbligatorietà di cercare il sostituto. Esiste anche  un’altra prerogativa, denominata ‘no show’, usufruendo della quale i fattorini possono non presentarsi al turno assegnato.
Secondo Druetta questa funzione non era disponibile sulla app (come non è presente quella che permette di rifiutare un ordine) e i ricorrenti non ne erano a conoscenza o ne sono venuti a conoscenza solo successivamente, a seconda dei casi.
Secondo Girgenti, invece, tutti conoscevano quelle funzioni, poiché tutti i riders erano inseriti nella chat ove si faceva menzione e ricorso ad entrambe.
Il login, continua la difesa, non è una timbratura, e qui si va a toccare un altro punto cruciale: “questo è un mondo nuovo, bisogna lavorare con le regole che ci sono ora, non quelle che forse un giorno ci saranno”, dicono.
Cercano di minimizzare il controllo a distanza, che pure è effettivo: “c’è una sala controllo in cui si può vedere su uno schermo dove si trovano i riders, ma ne vengono visti in media 20 o 40 contemporaneamente, a seconda dei turni. Se selezioni un nominativo, non vedi il percorso, vedi solo dove si trova in quel momento”. Ma è una funzionalità che esiste, lo spiega la difesa stessa (“anche per la sicurezza dei fattorini, così si può intervenire se c’è un problema”) e non sappiamo fino in fondo in non che modo venga usata, quali dati raccolgono e in che momento (chi controlla i controllori, insomma). Almeno su questo punto, la difesa non è chiarissima.
Anche quando rispondono all’accusa di violazione della privacy, all’affermazione che l’app di Foodora rimane sempre attiva nel telefono dei fattorini (nelle trascrizioni si legge di ordini arrivati anche quando l’app non è attivata e i riders non sono in turno) accede alla memoria fisica del telefono, alla rubrica, alle fotografie: “Hanno firmato l’autorizzazione per la privacy”, ha detto uno dei due avvocati della società tedesca. “E poi cosa se ne farebbe l’azienda delle foto e dei dati del fattorino?”. Ecco, questa è una buona domanda.

La sentenza non fa altro che rendere evidente un aspetto: la battaglia è politica, non giudiziaria. Le tutele non ci sono e non può essere un giudice a ripristinarle.

[testo a cura di Davide Serafin e Francesca Druetti]

Davide Serafin

Di Alessandria. Ha scritto gli ebook '80 euro di Ingiustizia Sociale' – 2016, V come 'Voucher – La nuova frontiera del precariato' – 2016 e 'Il Volo dei Gufi' - 2018, raccolta degli articoli scritti per i Quaderni di Possibile negli anni (2015-2018) - www.ilvolodeigufi.com - www,giustapaga.it - twitter: @yes_political

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