Il doppio inganno e il Jobs Act

Il doppio inganno e il Jobs Act

Abbiamo a che fare con un doppio inganno e ovviamente con il Jobs Act.

Perché un doppio inganno?

Foodora, JustEat, Deliveroo, Glovo, UberEats: il settore dell’home delivery è soltanto all’inizio della sua espansione. Il dato rivelato ieri da Coldiretti/Censis non dovrebbe stupirvi. Undici milioni di italiani effettuano ordini di cibo per telefono, almeno 4,1 milioni effettuano gli ordini tramite le applicazioni via web. Non è affatto un fenomeno marginale. Glovo dichiara di avere a disposizione circa duemila e cinquecento fattorini, Deliveroo almeno duemila.
Non è affatto un lavoretto, quello dei fattorini. Non stiamo parlando di un’attività qualunque, tanto per arrotondare. Diventerà a breve la principale occupazione. E non sarà sufficiente per poter vivere un’esistenza dignitosa. La Gig Economy significa erosione del diritto del lavoro, significa erosione del salario, significa sottrazione di valore. Il food delivery in Italia vale circa 2 miliardi, rivela Agi News. Insieme alla disruption del diritto del lavoro, questo modello fa leva sulla competizione fiscale tra i paesi al fine di mettere in pratica sistematicamente strategie elusive. Un doppio inganno, quello della fu sharing economy: quando è successo che la condivisione si è trasformata in sfruttamento e sottrazione?
In questo contesto, lo scenario nostrano è ancora più eclatante. In Italia, negli ultimi sedici anni, il salario medio è cresciuto solo del 3% (dati OCSE) mentre in Germania è cresciuto del 12% e in Francia del 19%***. Se la nuova economia del lavoro on demand sta cercando un terreno fertile ove attecchire, dove se non nel nostro paese?

Le norme del Jobs Act fanno da adeguata cornice ad un quadro in cui al lavoro viene attribuito sempre meno valore. Evidentemente, il giudice di Torino non poteva decidere contro Foodora. Se il legislatore non ha inteso estendere le tutele a tutti i lavoratori, non poteva il giudice dar ragione all’accusa. Non ci sono scorciatoie: la battaglia è politica e culturale.

Ce lo ricorda anche Pietro Ichino, giuslavorista sostenitore della riforme renzianissime del mercato del lavoro:

Luca Brienza, avvocato e giuslavorista, attivista di Possibile, ricorda il significato di subordinazione:

Com’è noto, ai sensi del disposto di cui all’art. 2094 c.c., la subordinazione si caratterizza per il fatto che il lavoratore collabora “alle dipendenze e sotto la direzione” dell’imprenditore. Il potere direttivo, in particolare, consiste nella possibilità di determinare e pianificare la prestazione, di modificarla e di variarne anche le modalità di esecuzione, al fine di conseguire il miglior risultato. Il disposto di cui all’art. 2104, secondo alinea, prevede inoltre che il lavoratore subordinato debba: “osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

La normativa introdotta recentemente, con il Jobs Act, in tema di collaborazioni (art. 3 D. Lgs. 81/2015 ndr), perseguendo dichiaratamente l’obiettivo di eliminare le collaborazioni a progetto e, con esse, l’abuso dello strumento (finendo però con il rinvigorire e dilatare le collaborazioni coordinate e continuative aspecifiche) ha previsto che:

“A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Con l’evoluzione delle dinamiche lavorative, la definizione normativa della subordinazione è divenuta sempre meno efficace, per l’interprete, a riconoscerne la sussistenza, nell’ambito delle singole vicende e, proprio in considerazione di ciò, sono stati descritti, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, alcuni indici della subordinazione, nessuno dei quali tuttavia, di per sé solo considerato, è risultato e – a maggior ragione oggi – risulta decisivo a distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo.
A ben vedere, più che il lavoro subordinato in sé, oggi occorre presidiare (garantendone sempre l’attuazione) le garanzie inderogabili di cui agli artt. 35-40 della Carta [costituzionale]. Ciò, immancabilmente, nel rispetto di quel limite imposto alla discrezionalità del legislatore, costituito dal dettato di cui all’art. 3 Cost., in virtù del quale fattispecie identiche non potrebbero essere regolate diversamente.
Possiamo spingerci a dire, dunque, che, al centro delle nostre attenzioni, devono essere poste le garanzie costituzionali e non la subordinazione in sé e che il rispetto di quelle non è ancorato necessariamente e in via esclusiva a questa.
È questione di tutele e di lenti interpretative: ne occorrono di più adatte, efficaci, al passo con la contemporaneità e in linea con il futuro.

E’ una questione di tutele e di un salario dignitoso, per questo abbiamo allestito giustapaga.it. Uno spazio di confronto, un luogo per farsi ascoltare e raccontare la propria storia di sfruttamento. Una campagna che è insieme culturale e politica e che ha come obiettivo quello di unire il mondo del lavoro, oggi frammentato, diviso, disperso.

***dato corretto in data 16/04/18

Davide Serafin

Di Alessandria. Ha scritto gli ebook '80 euro di Ingiustizia Sociale' – 2016, V come 'Voucher – La nuova frontiera del precariato' – 2016 e 'Il Volo dei Gufi' - 2018, raccolta degli articoli scritti per i Quaderni di Possibile negli anni (2015-2018) - www.ilvolodeigufi.com - www,giustapaga.it - twitter: @yes_political
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